Nuovo capitolo

Il fianco scoperto

PARTE II

Capitolo 3

Salutarono di nuovo Giacomo, fermo nell’esatta posizione in cui lo avevano lasciato, poi superarono l’arco di Porta del Giglio. Lì oltre, accanto alle mura, alcuni studenti avevano deciso di ritardare il loro rientro a casa occupando due panchine.
Jusen e il dottore pestarono la prima striscia pedonale quando arrivarono un fischio seguito da un “Ehi, tu!”.

Due ragazzi e una ragazza li avevano raggiunti. Il gruppo dietro seguiva i tre con lo sguardo mentre uno zaino appoggiato a una gamba della panchina mandava un pezzo rap ad alto volume.
«Cazzo che roba!» disse il più alto dei tre. «Ce ne abbiamo uno qui! Dai, raga!»
La visiera del cappellino svettava sulla fronte esibendo un ciuffo di capelli biondo ossigenato. Vestiva una t-shirt bianca di un paio di taglie più grande rincalzata alla bell’e meglio dentro i jeans. Ai piedi scarpe da ginnastica gonfie come canotti.

«Nero! Facciamoci un selfie! Anche un video! Cazzo che bomba, bro!» disse sempre lui.
Dal gruppetto dietro partirono degli applausi, fischi e incitamenti.
«Ma è una bestia!» commentò la ragazza sgranando gli occhi.
«Signor Vallini, come sta? Ce la fa per favore una foto con il suo amico?» il ragazzo biondo aveva tirato fuori il cellulare e dal suo sguardo era palese come non avesse alcuna intenzione di conoscere le risposte a quelle domande. I suoi occhi raffreddavano tutta la cortesia della formalità.

«Ragazzi, non possiamo restare, dobbiamo andare» disse il dottore.
«Una foto, su. Facciamo in un attimo» insisteva il biondo.
Jusen lesse nel viso del dottore un chiaro fastidio. Si capiva che li conosceva. Lui sapeva che il dottore aveva lavorato con le scuole per le visite mediche e le attività sportive, ma nulla di più. Non gli sembrava fosse tranquillo.
«Metti via quel cellulare.» E il tono del dottore fugò a Jusen ogni dubbio.
«Oh, dai!» supplicò stucchevole il biondo.
«Che tristezza vedere come non sei cambiato di una virgola» disse il dottore «Come sta il tuo amico, Fabbri?»
L’espressione sul viso del ragazzo cambiò.
«Doc, ancora con quella storia? Guardi che è stato un incidente.»
«Sì, intanto però quello che si è dovuto fare tutta un’estate con il gesso al braccio non sei stato tu. E se lui ti è ancora amico, fossi in te mi guarderei dal padre.»
Il ragazzo lo fissò immobile. Gli altri due che gli stavano vicino alzavano le mani e facevano spallucce al loro gruppo di amici dietro.

«Doc, facci sta foto e non rompere» disse il biondo. Poi portò gli occhi e le dita sul cellulare: «Dai, raga, bomba! Chissà quanti like ci facciamo! Vedi che divento famoso!».
«Jusen, andiamo via» disse il dottore.
«Ma che culo hai avuto a non morire?» disse con un’espressione assente l’altro ragazzo che era al fianco del biondo. I folti riccioli scompigliati contrastavano tutta l’imperturbabilità del blocco sotto. Vestiva una slavata camicia a quadri rossa e nera, diventata grigia e quasi rosa, e logore Converse. Gli occhi nascosti dietro neri occhiali da sole spessi come una generosa barretta di cioccolato.

Jusen era immobile. Fermo a valle in attesa che la valanga lo colpisse. Non sapeva interagire con quel fuoco incrociato.
Poi il dottore arrivò vicino al viso del ragazzo biondo che alzò di scatto la testa dal cellulare. «Ho detto andate via.»

«Dai, faccio una foto al tuo nero e ci leviamo.»
«Andate via!»
«Dai, oh. Non me la menare» disse il biondo scocciato. Poi il ragazzo agguantò Jusen per un braccio. L’iPhone svettava in alto pronto a immortalare. Il dottore glielo strappò dalla mano.
«Ho detto di no!»
Il biondo esplose: «Ridammelo! Ridammelo subito!».
La ragazza e il ricciolo assistevano alla scena immobili.
«No!» urlò il dottore.
Teste sbucavano dalle finestre delle case.
Il biondo si gettò sul dottore. Lui lo schivò e il ragazzo cadde, con il cappello che saltò via lasciando liberi tutti i capelli gialli. Continuò a ringhiare. «Se non me lo dai ti spacco la faccia, hai capito? Lo faccio. Dammi il mio cellulare!»
«Signore, glielo dia» disse la ragazzina con un tono calmo che tradiva una cupa preoccupazione. Le piccole dita strette intorno alla visiera che aveva appena recuperato da terra.
Il biondo scattò in piedi ansimante e rosso in faccia. Strappò il cappello dalle mani della ragazza e la sua bocca iniziò a deformarsi. «Dammi il mio cellulare!»
Il gruppo di ragazzi aveva lasciato la panchina e si era ora fatto più vicino. Uno di loro aveva portato con sé lo zaino-stereo; la musica continuava a martellare.
Il dottore lanciò un’occhiata a Jusen. Lui ricambiò smarrito. Poi seguì con gli occhi il volo del cellulare che si schiantò a terra.
Il ragazzo lanciò un urlo.
Il telefono mandò un rumore sordo e scattò di lato iniziando a compiere veloci giri su se stesso.

Trovò le mani del proprietario che, in ginocchio, viola in viso, lo stritolava. Alzò gli occhi sul dottore. «Che cazzo hai fatto! Che cazzo hai fatto!» disse, aggiungendo una lunga fila di bestemmie ben scandite. Poi di colpo si alzò, cadde e tornò di nuovo in piedi. «Oddio, oddio, lo schermo è tutto rotto…» sussurrava e fremeva. Tremava. Trafficò una combinazione di tasti. «Non si accende, cazzo! Non succede niente!»

Si girò a guardare gli amici che aveva vicino: «Lo avete visto tutti!» sbraitava roteando in aria le braccia. «Mi ha rotto il cellulare! Mille euro di cellulare, cazzo!» e tornò a guardare il dottore. «Ora me lo ripaghi, ora ti denuncio, chiamo i carabinieri e mio padre. Ti faccio il culo, cazzo!» disse e sfogò una bestemmia.

Jusen lo osservava: il collo tirato e gli occhi rossi sbarrati. Sembrava un animale rabbioso. Jusen spostò lo sguardo sul dottore e non lo riconobbe.
Impettito, con lo sguardo fermo sul ragazzo biondo, sembrava dimostrare una ventina di anni in meno. «Chiama chi ti pare» disse il dottore fissando quella furia. Jusen registrò un tono che non gli aveva mai sentito.

Il biondo muto.
«Però fallo subito, ragazzino» e si interruppe. «Altrimenti potrai raccontare cosa si prova a vedere un buono che si incazza sul serio.»
Seguì altro silenzio.
Le facce dei tre ragazzi ferme. Lo scontro si era spostato dal numero degli anni a un altro terreno. Più selvaggio, più antico e molto, molto più pericoloso.
«Ora io e il mio amico andiamo via e mi aspetto che lo stesso facciate voi.»